La mia vita e quella di Michela si sono intrecciate il primo giorno di liceo e da lì la nostra amicizia non ha mai cessato di esistere. Un giorno, quando le preoccupazioni per le verifiche di fisica e il peso dei nostri quindici anni erano diventate asfissianti, Michela mi raccontò, senza mai smettere di sorridere, di un avvenimento che aveva cambiato la sua vita quando frequentava le medie. A distanza di sette anni da quel giorno sono cambiate molte cose, ma il sorriso di Michela, mentre ripercorre con me la sua storia, resta sempre lo stesso!
Ti va di presentarti ai lettori e alle lettrici di The Password?
Sono Michela, ho appena compiuti ventun anni e sono al secondo anno di infermieristica a Cuneo. Mi piace molto la musica: ascoltarla, andare ai concerti, cantare e suonare quando sono con altri. Sono appassionata di fotografia e mi piace stare nella natura: sciare, passeggiare in montagna o nei boschi.
Hai voglia di raccontare cosa hai vissuto in seconda media?
Nell’estate tra la prima e la seconda media ebbi una semplice influenza intestinale alla quale si accostarono i sintomi tipici dell’ittero. Mi sono recata in ospedale e ho scoperto che i miei esami del sangue erano completamente sballati. Allora, sono passata da un ospedale all’altro, per cercare di capire cosa avessi, mentre i medici provavano a migliorare i valori del sangue.
Soffrivo di una colangite sclerosante primitiva che portava la bile a non circolare nel fegato, bensì nel mio corpo. Dopo aver cercato di risolvere la situazione in altri modi mi è stato comunicato che l’unica soluzione era quella di sottopormi a un trapianto di fegato. Ho avuto la fortuna di essere chiamata per il trapianto dopo soli tre giorni dall’inserimento in lista d’attesa.
Come hai vissuto il periodo del ricovero?
In realtà l’ho vissuto bene grazie all’ingenuità che mi caratterizzava, essendo ancora piccola. In ospedale mi sentivo al centro dell’attenzione e non capivo molto bene cosa mi stesse succedendo. Inoltre, a livello fisico, stavo bene e quindi non riuscivo a comprendere a pieno la gravità della situazione.
C’è stato un momento in cui hai preso consapevolezza di cosa ti stava effettivamente succedendo?
Quando mi hanno detto del trapianto ho capito che il mio problema non aveva una soluzione se non il trapianto stesso. Questa notizia mi ha fatto crollare il mondo addosso.
I medici mi hanno tranquillizzata assicurandomi che tutto sarebbe tornato come prima e che non avrei avuto scritto sulla fronte “trapiantata di fegato” ma che, gradualmente, sarei tornata esattamente come prima.
Non ho mai voluto, dopo quel giorno, che quello che mi era successo potesse prendere il posto di un ostacolo, che potesse condizionare la mia vita.
Quando ho dovuto scegliere il percorso universitario, ad esempio, i medici vedevano la scelta di infermieristica come rischiosa, visto il continuo contatto con persone malate, ma era quello che volevo fare e il mio passato non poteva compromettere il mio futuro. Secondo me quello che mi è successo è anche il motivo per cui sto studiando infermieristica.
Com’è stato tornare a casa?
Il ritorno a casa è stato il momento più difficile perché dovevo fare attenzione a tutto: al mangiare, al contatto con le altre persone, agli ambienti da frequentare… Tutte queste limitazioni mi hanno portata a chiedermi più volte perché fossi stata io ad ammalarmi, perché non potessi andare a scuola e stare con le altre persone della mia età.
Sono sempre stata forte agli occhi degli altri, quando, forse, ero solo ingenua.
Anche i medici hanno sempre sottolineato il mio essere sempre sorridente (n.d.r. lo dice sorridendo).
Mi hai detto poco fa che i medici ti avevano assicurato che non avresti avuto la scritta in fronte “trapiantata di fegato”. Questa cosa ti ha accompagnata nel corso degli anni o parli apertamente di quello che hai vissuto?
La mia classe delle medie l’ha saputo dai professori.
Quando ho iniziato le superiori, invece, sono stata io a decidere a chi dirlo perché si tratta, comunque, di una parte importante della mia vita che mi ha insegnato e segnata molto. Appena tornata a casa dopo sei mesi di ospedale, ad esempio, mi sono resa conto che avevo imparato ad apprezzare le piccole cose. Un’altra cosa che è cambiata è stato il mio rapporto con la scuola perché non la vedevo più come una cosa pesante e che mi era stata imposta, ma una cosa che mi rendeva felice.
Quindi, riprendendo la tua domanda, raccontare questo alle persone è bello, ma penso sia importante scegliere a chi dirlo. Non è una cosa che tendo a nascondere ma neanche a sbandierare ai quattro venti; non perché me ne vergogno, sia chiaro. Diciamo che è una cosa di cui sono quasi fiera e che mi rende felice perché è comunque qualcosa che io ho vissuto e gli altri no. Che poi, pensandoci, ci sarà qualcun altro che ha vissuto la stessa cosa e magari dopo che quel qualcun altro leggerà questa intervista si metterà in contatto con me. Sarebbe bello, non credi?
Ricordo di una volta in cui avevi raccontato la tua storia con un gruppetto di amiche e una ragazza reagì chiedendoti se non ti sentissi in colpa a pensare di aver ucciso un’altra persona…
Alla fine, quella persona sarebbe morta lo stesso ma ha permesso a me – e ad altre persone – di guarire. Io sicuramente sarei potuta andare avanti qualche mese con i drenaggi e i controlli, ma senza il trapianto non sarei andata avanti per anni come, spero, succederà.
Penso sia molto importante che le persone sappiano cosa voglia dire ”donare” e quanta importanza ci sia in un gesto così semplice. Al liceo, ad esempio, abbiamo fatto un incontro promosso dall’AIDO in merito alla sensibilizzazione sulla donazione di organi. A mio parere, l’unica cosa negativa dell’incontro è stata la mancanza di una testimonianza diretta, in quanto a parlare era la moglie di un signore che aveva donato gli organi in seguito al decesso.
Sai chi è stato il tuo donatore?
No, non è possibile saperlo. Quello che ho potuto dedurre è che si trattava di una persona giovane, ma non ho mai avuto conferma di questa ipotesi.
Per me va bene così, va bene non sapere, e ringrazio questa persona e la sua famiglia per aver dato il consenso perché è davvero un bel gesto che sono contenta abbiano scelto di fare.
Gaia Bertolino, ThePassword Unito
(Photo by Austin Kehmeier on Unsplash)