IN ASCOLTO DELL’ALTRO PER FARLO SENTIRE COMPRESO

Essere buoni interlocutori significa seguire con la mente e le emozioni le parole dette. Mettendosi nei panni altrui. Si favorisce così l’autostima, dando un impulso positivo alla relazione

di Vita&Salute

Ascoltare significa prestare la massima attenzione a tutta la comunicazione, compreso il linguaggio del corpo, senza filtri o pregiudizi di alcun tipo; essere attivi e partecipi in ciò che ci viene detto. Ascoltare è una delle migliori tecniche che possiamo utilizzare per mostrare rispetto verso qualcun altro.

I grandi leader e le persone dotate di carisma che nella vita hanno raggiunto il successo sono stati tutti individui che hanno imparato il valore dell’ascolto (v. M. Piovano, Sviluppare il proprio carisma, De Vecchi). Ma che cosa vuol dire esattamente ascoltare? Prestare la massima attenzione a tutta la comunicazione, compreso il linguaggio del corpo, senza filtri o pregiudizi di alcun tipo; essere attivi e partecipi in ciò che ci viene detto. Ascoltare è una delle migliori tecniche che possiamo utilizzare per mostrare rispetto verso qualcun altro. A seconda delle nostre abitudini e della nostra attenzione, si possono distinguere diversi livelli di ascolto. Ecco in sintesi quali.

I livelli dell’ascoltare
1. L’ascolto passivo. Chi ascolta a questo livello lo fa senza reazioni. Le loro orecchie sono ricettive, ma la mente pensa ad altro.
2. L’ascolto semi-attivo. A questo livello si colgono solo alcune parti della conversazione. Chi ascolta in modo semi-attivo lo fa a scatti, rimanendo a livello di superficie della comunicazione. Risulta caratteristico di quelle persone per le quali ascoltare è solo un pretesto per affermare la propria opinione. Sembra che l’unica cosa importante sia parlare il più possibile di se stessi. Tuttavia, così facendo, nessuno dei partecipanti al dialogo si scambia consigli o soluzioni. A questo livello, le persone non condividono tra loro alcuna informazione, positiva o negativa che sia. Nessuno degli attori in gioco porta agli altri un contributo anche minimo, oltre quello della propria presenza fisica e simbolica all’interno del gruppo.
3. L’ascolto attivo o logico. In questo stadio, gli individui tendono a prestare attenzione a tutto ciò che viene detto, trascurando, però, gli aspetti emotivi della comunicazione. Mostrano di ascoltare logicamente, interessati più al “contenuto” che alla “relazione” e rimangono emotivamente distaccati dalla conversazione. A questo livello, chi parla può essere erroneamente indotto a credere, in maniera falsa, di essere ascoltato e capito. Infatti, gli interlocutori fingono di essere attenti ma, in realtà, pensano ad altro, formulano giudizi, replicano o consigliano e preparano ciò che vogliono dire.
4. L’ascolto carismatico. Esso trae la sua forza dall’empatia. Ascoltare empaticamente significa cercare di capire l’altra persona, osservare il mondo dal suo punto di vista, mettersi nei suoi panni senza giudicarla per ciò che esprime. L’essenza dell’ascolto empatico non consiste nel dichiararsi d’accordo con una persona, ma nel capirla a pieno e profondamente, sia dal punto di vista emotivo sia da quello intellettuale. Dopo aver mostrato empatia e comprensione nei confronti della posizione espressa, avrete tutto il diritto di provare a spiegare perché non vi sembra condivisibile. Comprendere vi aiuterà a prendere atto di qualsiasi posizione assunta senza che ciò implichi approvazione. Anzi, chi è dotato di carisma sa esprimere con fermezza ma con altrettanto rispetto posizioni differenti dalla propria.
Come si fa ad ascoltare empaticamente? Per raggiungere questo tipo di ascolto possiamo utilizzare le seguenti strategie.
Le riformulazioni brevi. Esempi di espressione: “Uhm…”; “Sì… “; “Vedo… “. Il segreto consiste nell’intonazione della voce, che deve incoraggiare l’interlocutore a proseguire. Il tono, dunque, non deve essere deciso, secco o imperativo, ma lasciare l’emittente “insoddisfatto”, affinché prosegua nel dialogo.
Le ultime parole della frase. Esempio: “È questione di tempo e di bilancio”; “Di bilancio”. Insistendo sull’ultima parola invogliamo il nostro interlocutore a sviluppare il suo pensiero.
Le “riformulazioni brevi” e le “ultime parole della frase” sono due tecniche molto efficaci nella comunicazione telefonica. Non facciamo come certi interlocutori che quando ascoltano alla cornetta non danno alcun segnale a chi parla, e questi, inevitabilmente, si irrita. Quando comunichiamo con le persone dimostriamo di essere attenti e partecipi.
Il silenzio. Di solito, i silenzi non generano loquacità ma alcuni, se si verificano nel momento opportuno, permettono al nostro interlocutore di riflettere e completare il suo discorso con ulteriori informazioni. Naturalmente, non abusiamo di queste pause perché altrimenti cadremo nell’errore, già descritto, di apparire poco interessati a ciò che ci viene detto.
Le manifestazioni non verbali. Il corpo è uno strumento di espressione che spesso accompagna le parole. I gesti, la mimica facciale, i cenni del capo, le alzate di spalla, lo sguardo, ecc., costituiscono dei punti di riferimento per cogliere i sentimenti di una persona in un determinato momento e hanno la capacità di influenzare l’interlocutore, favorevolmente o meno. È possibile inclinare la testa, simulare stupore, lasciare intravedere consenso o disapprovazione senza ricorrere alle parole.
La riformulazione. È sicuramente la più efficace tra le tecniche atte a potenziare il nostro ascolto carismatico. Riformulare non significa, però, interpretare a proprio modo ciò che si è capito durante la conversazione, si tratta piuttosto di esprimere, in altri termini, ciò che l’interlocutore ha espresso. Innanzitutto, occorre essere assolutamente sicuri di aver capito perché, in caso contrario, si rischia l’interruzione del dialogo, provocando l’effetto opposto a quello desiderato. L’interlocutore incompreso, o compreso solo in parte, si infastidirà e rimprovererà la mancanza di chiarezza durante la propria esposizione. È necessario, quindi, riformulare con molta prudenza, utilizzando preferibilmente le parole o le espressioni impiegate dall’altro. Prima di ricapitolare, possiamo introdurre il nostro pensiero con frasi del tipo: “Permettimi di vedere se ho ben capito quel che mi hai detto…”; “Se ho capito bene, e correggimi se sbaglio…”. Queste espressioni ci aiuteranno a predisporre meglio il nostro interlocutore.

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Le domande utili
Un’altra strategia importante per potenziare la nostra comprensione nei confronti dell’altro sono le domande da fare. Le domande veramente utili sono quelle che aiutano chi ci sta di fronte a parlare, a esprimersi in un modo più chiaro e soddisfacente. Ricordiamoci che sono le domande a dare la misura della qualità del nostro ascolto. Evitiamo, per esempio, di formulare domande chiuse, perché interrompono il dialogo. Utilizziamo, invece, quelle aperte (chi, quando, dove, perché, che cosa), perché lasciano al nostro interlocutore totale libertà d’espressione.

AIDO ringrazia Fondazione Vita e Salute e la Chiesa Cristiana Avventista che con il suo 8×1000 sostiene la promozione di un percorso di informazione e sensibilizzazione sulla prevenzione e insieme un gesto concreto verso la promozione della cultura del dono.

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