Lui è Marco Bungaro, giovane venticinquenne di Brindisi. Sorriso da incosciente, tipica aria strafottente, un bel successo tra le ragazze e tanto altruismo nei confronti di chi gli sta vicino.
A 18 anni si arruola nei Carabinieri e partecipa con grande commozione ai funerali di Papa Giovanni Paolo II, successivamente passa all’Esercito; nel 2010 presta servizio a Bracciano nel reparto dell’Aviazione, quando arriva la tanto sognata licenza breve per tornare all’affetto dei suoi cari per tre giorni. ‘’Era tanto felice di fare un salto a casa ’’racconta mamma Emi “e prima di uscire con gli amici mi salutò dicendomi che ci saremmo rivisti il giorno dopo’’.
Marco si organizza per trascorrere l’intera giornata di sabato all’insegna del mare e della tintarella per poi passare una serata in discoteca con due conoscenti di Brindisi. Qualche bicchiere di troppo, probabilmente anche con sostanze psicotrope e poi, per il rientro, Marco non ci pensa due volte a dare le chiavi della sua auto ad uno dei due conoscenti, chiedendogli di guidare al suo posto. Questo gesto di responsabilità non è bastato a salvargli la vita.
È buio, sulla superstrada Gallipoli-Lecce, l’auto sbanda, esce fuori strada e si schianta contro il guard-rail allo svincolo per Galatina; il 1° maggio, Marco mette la sua vita nelle mani di un destino beffardo, non se la sente di guidare ma chi si mette alla guida non ha avuto la sua stessa lucidità. L’impatto è violentissimo, Marco ha la peggio, gli altri due giovani ne escono quasi illesi. Solo alle 8,15 della domenica mattina arriva una telefonata ai genitori dove i sanitari riferiscono che Marco si trovava al nosocomio di Lecce per poi scoprire, giunti sul posto, che è in coma: gli amici e i parenti restano in ospedale accanto ad Emi e Nando, genitori di Marco, nella speranza che l’incubo finisca e che lui si possa svegliare. Ma il 5 maggio Marco, dopo tre lunghissimi giorni, muore.
“Ci speravamo, ci abbiamo creduto ma poi i medici ci hanno parlato di morte cerebrale e della possibilità di aiutare altre persone. E noi non volevamo capire che per Marco era finita, che non c’era alcun modo per salvare lui. Ci fu detto che nostro figlio per legge sarebbe rimasto in osservazione per 6 ore attaccato a dei macchinari per ossigenare gli organi. Sembrava dormisse. Non aveva alcuna ferita evidente”.
In questo breve tempo avrebbero dovuto decidere se donare una parte di Marco perché lui non si era espresso in vita. La decisione più difficile che due genitori debbano prendere in un momento così difficile e doloroso. Il primo pensiero è stato che Marco amava aiutare il prossimo e quindi davano il consenso al prelievo degli organi. La sua morte non resta inutile e salva la vita di altre quattro persone. Cuore, due reni ed il fegato che hanno ridato speranza a chi non aveva altre possibilità di vita.
“Perdere un figlio è come morire dentro, ma abbiamo pensato che una parte di nostro figlio potesse continuare a vivere”. Nando ed Emi hanno aderito all’Associazione Vittime della Strada “Flavio Arconzo” di Fasano ed a Marco è intitolata la sede del Gruppo Comunale AIDO di Brindisi.
Chi sceglie di donare i propri organi dopo la morte
risponde SI e afferma un naturale gesto d’amore per l’altro,
chiunque esso sia perché è amore per la vita.
Ci sono troppi tabù su questo argomento
che vale la pena approfondire.
L’informazione per poter scegliere
è sempre l’unica arma vincente.