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Il record delle donazioni fa crescere i trapianti: quel sì che salva la vita

Il rapporto del Centro nazionale trapianti: balzo storico nel 2022, soprattutto al Nord.
Ma serve più informazione su questo tema.
I progetti «Rete di vita» e «Cuori 3.0»

«Il mio donatore è come un fratello che non c’è più. Io sono il braccio, lui il cuore». Francesco Fiore, 35 anni, di Matera, se è ancora vivo lo deve al cuore ricevuto nel 2017 grazie a un gesto d’amore di un’altra persona che ha deciso di donare gli organi dopo la morte. Ne aveva già avuto in dono un altro, in sostituzione del suo che pompava male, all’età di dieci anni. La sua storia e le altre che raccontiamo qui sono testimonianze di una sensibilità cresciuta nel nostro Paese: nel 2022, secondo il report preliminare del Centro nazionale trapianti, il tasso di donatori utilizzati per milione di popolazione in Italia è stato del 24,7, il più alto di tutti i tempi. Per stare ai numeri assoluti, nel 2022 si sono registrate 1.830 donazioni (di cui 369 da donatori deceduti e 1.461 da viventi) cui ha fatto seguito un incremento di trapianti eseguiti rispetto al 2021 (3.887, quasi cento in più, il secondo miglior risultato di sempre).
Torniamo ad ascoltare la storia di Francesco: «Non potevo correre e giocare come tutti gli altri bambini, facevo fuori e dentro l’ospedale». A 20 anni il rigetto da parte del suo corpo verso l’organo estraneo, i reni che smettono di funzionare, l’inizio della dialisi: tre volte alla settimana Francesco va in ospedale per ripulire il sangue dalle sostanze tossiche e dai liquidi accumulati. «Ho rischiato due volte l’arresto cardiaco. Ero ridotto a una larva, pesavo 50 chili. Nessuno dei miei familiari era compatibile e quindi nella condizione di donarmi un rene» racconta.

L’attesa e la Nazionale
Dopo dieci anni di attesa, arriva la fatidica chiamata: i medici hanno trovato dei reni e un cuore nuovo per Francesco. «I miei donatori non mi hanno ridato solo la vita, mi hanno dato anche la speranza nel mondo e nel futuro, prima vivevo alla giornata, non avevo progetti. Loro mi hanno cambiato. Sono diventato più responsabile verso di me e più attento per gli altri. Oggi porto avanti la vita anche in loro nome» dice. Francesco dopo il trapianto ha ripreso a giocare a tennis e dal 2021 fa parte di Aned sport, la nazionale italiana trapiantati e dializzati. Ad aprile competerà nel tennis ai Giochi mondiali dei trapiantati a Perth, in Australia.
Dario ha compiuto un anno il 6 febbraio e non sarebbe mai venuto al mondo se la sua mamma, Eva Murino, il 25 giugno 2014 non avesse ricevuto un cuore nuovo da chi non c’è più. «Donare gli organi è il testamento più bello che si possa lasciare – dichiara Eva, 44 anni, di Roma – perché genera vita per l’eternità. Grazie al mio donatore sono nata per la prima volta, poi è nato mio figlio, che potrà diventerà padre domani». Eva ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza con il freno a mano tirato. «A causa di un difetto cardiaco dalla nascita non potevo fare sforzi, avevo sempre l’affanno, parlavo con un filo di voce finché da adulta – ricorda – il mio cuore se ne stava andando. Ho mollato il lavoro, vivevo distesa su un letto».

Madre e figlia
La solidarietà ha salvato le vite anche di Roberta Rapisardi e Benedetta Sirianni, rispettivamente madre e figlia della provincia di Catania. Affette entrambe da una grave cardiomiopatia dilatativa, è stato lo stesso chirurgo (Ugolino Livi) a eseguire i due trapianti di cuore a distanza di 33 anni l’uno dall’altro. «Il mio – dice la mamma – è stato il primo della sua carriera. Avevo 29 anni. Quello di mia figlia, lo scorso ottobre, l’ultimo. Benedetta era arrivata in condizioni peggiori delle mie. Ricoverata da quasi 3 mesi in ospedale era tenuta in vita da un farmaco, ma il suo effetto sarebbe stato brevissimo, non c’era più tempo, l’unica alternativa era il trapianto». Benedetta, 25 anni, è tornata a studiare Scienze della comunicazione all’università. Il suo messaggio: «Ognuno di noi investe nel proprio avvenire ma non sa cosa succederà. La vita è imprevedibile. In questa incertezza, però, possiamo decidere di donare un futuro a chi potrebbe non avere una scelta. Per stare bene abbiamo bisogno degli altri». Perché chiunque di noi potrebbe avere un problema di salute. «Si dona per noi stessi» sostiene la mamma.
Il destino di Francesco Calabrò, 76 anni, si è capovolto dieci anni fa: da chirurgo toracico, prima a Padova e poi Verona, che preleva e impianta polmoni salvando vite si era trovato ad essere paziente in lista per un cuore. «La situazione si era aggravata tutta d’un colpo, non bastavano più le medicine e il defibrillatore inserito nel cuore. Sarei morto a 66 anni senza il trapianto e il fatto di sapere che esisteva questa possibilità per sopravvivere mi ha dato una sensazione di grande tranquillità. La donazione è un gesto che infonde fiducia nella vita» commenta Calabrò, che nel 2021 ha promosso il progetto «Rete di vita» per informare i cittadini sul tema della donazione degli organi attraverso la diffusione via social di video-interviste di medici e pazienti trapiantati.

Tre cuori
La generosità dei donatori ha restituito per due volte il battito a Cristina Zambonini, 37 anni, designer d’interni a Milano: «Mi sono svegliata una mattina con la fame d’aria. Avevo 20 anni. Ero stata colpita da una cardiomiopatia dilatativa fulminante. Mi hanno messo in lista di emergenza per il trapianto e dopo un mese ho ricevuto il primo cuore. Ho ripreso a fare sport, mi sono laureata, ho scalato il Monte Rosa, poi a 31 anni un altro calvario. Mi mancavano le energie per tutto, il mio sistema immunitario stava attaccando il cuore. Ho fatto i conti con la morte. Trovare un secondo cuore compatibile era come trovare un ago in un pagliaio». Ma nel giro di un mese il miracolo si è avverato: qualcuno aveva regalato il suo cuore a Cristina. «Sto benissimo ora, lavoro a pieno ritmo, mi dedico all’alpinismo e con le mie migliori amiche ho fondato la onlus “Cuori 3.0”, per sensibilizzare la gente sulla donazione degli organi durante concerti, sfilate, brunch, nelle scuole e università» spiega.

L‘onorificenza
Per la sua storia e il suo impegno civico Cristina è stata insignita dal presidente Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. «È una grande responsabilità ricevere un organo di un’altra persona. La vita va onorata al massimo per chi non ce l’ha fatta. Io sono stata fortunata ma il mio amico dell’ospedale che era in lista con me se n’è andato prima che ci fosse un organo disponibile per lui». Alessia Misirocchi, di Faenza, 22 anni appena, tutte le elementari in ospedale e con già due trapianti di reni e uno di fegato, è un’altra testimonianza del potere del dono. «Quando sono nata mi avevano dato pochi giorni di vita. Solo i donatori mi hanno permesso di esistere». Ilaria Orio ha capito che «il potere di quel monosillabo, di quel “sì” all’adesione a donare, si concretizza negli anni. I reni, i polmoni, il fegato, il cuore e tutti i tessuti di mio fratello Gabriele, morto in un incidente stradale, stanno consentendo a tante persone di respirare. Lui non si era espresso in vita, la decisione l’abbiamo presa noi parenti» afferma. La voce di Chiara Ruffin è rotta dall’emozione: «Si rischia di rifiutare per ignoranza. Mio marito lasciandoci ha salvato la vita a 13 persone, tra cui un bambino di 12 anni. Il fatto che parti di lui continuino a vivere ha un effetto profondamente consolatorio».

(Chiara Daina, corriere.it)

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